Raisa Clavijo - annalauradiluggo

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Raisa Clavijo
Critico d'arte
Direttore Artpulse
In conversazione con Annalaura di Luggo

Blind Vision è parte di Occh-IO/Eye-I, un progetto più ampio con cui tu hai iniziato a fotografare l’iride di persone di diversi profili socioculturali. Partendo da questo punto, Occh-IO/Eye-I si è sviluppato in vari progetti artistici, che hanno coinvolto visioni del mondo ed esperienze differenti. Iniziamo parlando di come è cominciato tutto. Annalaura di Luggo - Occh-IO/Eye-I è un’operazione artistica che ha l’obiettivo di cogliere e restituire in forma “amplificata” un aspetto peculiare dell’identità che appartiene ad ognuno: “l’occhio”, con una evidenza sulla parola “IO” per evocare proprio quella singolarità di cui è portatore ciascun individuo. Ogni essere umano è per me una creatura meravigliosa di Dio, ed io ho deciso di esplorarne la natura attraverso lo sguardo, indagando l’occhio, che per gli antichi era lo specchio dell’anima. Amo definirmi una “soul scout”, cioè un’esploratrice dell’anima. La mia indagine sull’occhio non si limita al solo ritratto macrofotografico dell’iride per valorizzarne la bellezza estetica. Lo scatto fotografico è invece un momento di complicità con il soggetto fotografato, che mi permette di entrare in contatto con il suo mondo interiore, al fine di catturare qualche aspetto della sua peculiare essenza: un dialogo intimo ed empatico accompagna ogni sessione fotografica, e le opere finali che realizzo includono, conservandole, tracce della personalità dei protagonisti, dei loro pensieri e delle loro emozioni. L’idea di fondo è quella di incontrare l’essere umano spogliato da ogni tipo di condizionamento e pregiudizio, con un approccio libero da quegli schemi precostituiti che si strutturano automaticamente rispetto alla posizione sociale, all’età, al sesso, alla religione. La rappresentazione artistica che scelgo per l’occhio invece mette l’unicità dell’iride al centro di un “universo” profondo e scuro, un buco nero, tale perché capace di “assorbire” tutti i colori liberando la soggettività da ogni discriminazione possibile. Esploro l’iride, la metto a nudo, la dilato, la espongo in formato gigante. Lo faccio anche solo per ricordare quanto sia ancora importante guardarsi negli occhi e leggere in uno sguardo, in un mondo in cui troppo spesso non c’è più il tempo o la voglia di farlo, e i rapporti umani sono affidati alla pura logica della comunicazione a distanza, lasciando che le relazioni interpersonali si degradino oppure vengano sublimate in modalità “virtuali”. Da un punto di vista tecnico, spinta dal desiderio di scoprire l’impercettibile struttura dell’iride senza riflessi di luce, ho messo a punto e brevettato una speciale macchina fotografica, utilizzando accessori mutuati dall’oftalmologia, per riprodurre quanto più fedelmente possibile la struttura dell’occhio. Molti mi chiedono da dove sia nata l’intuizione iniziale di posizionare l’occhio al centro della mia ricerca artistica. La mia risposta è che nella vita sono stata fortunata, perché ho avuto l’opportunità di intrecciare rapporti con ogni categoria di persone, dai più potenti del mondo a quelli che sono considerati gli ultimi della società; soprattutto grazie al volontariato ho avuto la possibilità di scoprire pezzi del mondo degli “invisibili” che vivono ai margini della società  dal mondo dei malati, a quelli che dormono di notte in strada, avvolti nei cartoni, coloro a cui basta un pasto donato per dichiararsi appagati e ringraziare Dio. Grazie a queste esperienze ho deciso di rappresentare quella che per me è l’arte della Creazione Divina, che si manifesta in ogni punto del creato, ma si rivela quale momento alto di compiutezza estetica nella bellezza unica ed irripetibile dell’iride umano. Questa è insieme una mappagenetica dell’individuo e uno spettacolo del visuale, un trionfo dell’immaginario, derivante dall’intersezione di migliaia di cromie e innumerevoli sfumature. Attraverso un mio brevetto sono riuscita a rendere enormemente visibile, vistosamente osservabile, qualcosa che esiste da sempre, ma che non è percepibile ad occhio nudo. E così ho utilizzato l’occhio, che vede e che è visto, come simbolo della mia visione dominante e significante del mio più profondo pensiero: tutti siamo meravigliosamente diversi e irripetibili, ma unici agli occhi di Dio.

R.C. - Com’è nato Blind Vision? Qual è l’obbietivo di
questo progetto?
A.d.L. - Ho dedicato una lunga fase della mia ricerca artistica a interagire con le persone e a esplorare i modi in cui queste percepiscono il mondo. Questa volta ho voluto esplorare la percezione di chi è stato privato della vista. Ho scelto di calarmi nella dimensione dei non vedenti, per cercare di capire cosa si provi ad avere il buio davanti a sé, ad abitare un territorio cognitivo ed un’esistenza priva di immagini. Il mio impegno in questo progetto si coniuga al desiderio di stimolare un’inclusione culturale e sociale dei non vedenti, e alla mia generale propensione per una concezione ispirata ai valori della solidarietà, anche in campo artistico. Ho contattato quindi l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti della Provincia di Napoli e sono stata accolta con immenso affetto dal presidente Mario Mirabile e dal responsabile alla Comunicazione, l’avv. Gianluca Fava. Loro mi hanno svelato il meraviglioso Istituto Paolo Colosimo per ciechi e ipovedenti, dove ho conosciuto Antonio Cafasso Presidente dell’Associazione Teatro Colosimo. Immaginavo di poter trovare una qualche resistenza al mio progetto: temevo che la mia richiesta di fotografare gli occhi privi di vista fosse considerata invadente. Niente di tutto questo, ho riscontrato invece un grandissimo entusiasmo e un’adesione incondizionata da parte di tutti. Mi ha colpito la frase del Presidente Mirabile che ha esordito dicendo: “Il mondo dei non vedenti è invisibile ai più”. Una frase densa di significati, che mi ha spinto ancora più decisamente a concretizzare il mio progetto. Così ho chiesto all’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti della Provincia di Napoli e all’Istituto Paolo Colosimo di selezionare un campione di 20 persone di tutte le età e con le esperienze più diverse. Era venuto il momento di formare il mio team di lavoro: in primo luogo, come curatrice della mostra non ho avuto dubbi a scegliere Raisa Clavijo, per le sua spiccata sensibilità, il suo indiscusso talento professionale, e per la mia voglia di dare un respiro internazionale al progetto. Come regista ho voluto Nanni Zedda, per le sue doti tecniche e per la sua disponibilità alla condivisione costante delle idee di fondo del progetto, unite allo spirito di avventura perché di avventura si trattava: avevo scelto infatti di non preparare nulla, ma di lasciare le mie interazioni con i non vedenti alla spontaneità assoluta. Con Nanni abbiamo scelto un set nel buio con solo delle luci dorate di taglio, per creare “un’ambientazione caravaggesca” che, per le immagini di scena, avrei potuto affidare solo ad un fotografo amante delle profondità come Sergio Siano. La componente audio avrebbe giocato un ruolo determinante in un mondo fatto di percezioni alternative alla vista; così ho scelto di coinvolgere Paky Di Maio, un eccellente sound designer con cui avevo già lavorato per Sea Sounds, all’interno del mio progetto Sea Visions, 7 punti di vista sul mare al Salone Nautico Internazionale di Genova. A completare la squadra, il mio braccio destro Guglielmo Esposito, il mio grafico di fiducia Gino Bencivenga, il mio allestitore Giuseppe Scotto Di Carlo, il mio responsabile impianti audio e luci Luca Pasquarella e la mia metà Olindo Preziosi. Il giorno del primo incontro, forte della mia squadra, mi sono presentata all’Istituto Colosimo solo con la macchina fotografica. Mi sentivo animata da una grande emozione e pronta per il viaggio. Non avevo alcuno schema mentale: mi sono abbandonata come alla corrente del mare, allo svolgersi casuale dell’onda che ti avvolge e ti travolge con sensazioni nuove e indescrivibili. Sapevo che sarei voluta arrivare alla mèta, ma non immaginavo come l’avrei raggiunta. Mano nella mano ho incontrato ipovedenti e non vedenti e, nel secondo caso, sono rimasta ad occhi chiusi per tutta la durata del colloquio con essi, al fine di sperimentare lo sforzo di attivazione delle mie percezioni alternative alla vista. E così sono stata colpita dalla straordinarietà della vita normale dei non vedenti, quella che loro stessi definiscono “una vita come tutte le altre.” Sono entrata in un mondo ricco di sentimenti, dove più di tutto mi ha colpito la tenacia e la voglia di vivere con coraggio e consapevolezza da parte di chi percepisce il mondo con un senso in meno. Che dire dei risultati fotografici degli occhi? Sbalorditivi! Forme e colori meravigliosamente imponenti e misteriosamente sconosciuti. La mia ricerca sul campo ha prodotto risultati così straordinari che ho deciso di trasferire la mia esperienza al pubblico attraverso un percorso, un viaggio come quello che ho fatto io, utilizzando il filo conduttore degli occhi dei protagonisti.
R.C. - Raccontami quali altri progetti hai sviluppato
come parte di Occh-Io/Eye-I.
A.d.L. - Nel 2016 ho avuto l’opportunità di sviluppare Never Give Up, un lavoro realizzato in due giorni all’interno del carcere minorile di Nisida, dove ho incontrato 10 detenuti che ho coinvolto in una serie di atti performativi e di interviste, al fine di stimolare in loro un approccio positivo alla vita, sia introspettivo che verso la collettività. Il risultato è stata un’esperienza multisensoriale all’interno di una cella di isolamento, dov’è stata allestita la mostra, curata da Guido Cabib, con video foto e decal; tutto per aiutare lo stesso pubblico fruitore a riflettere su situazioni ed emozioni che abitualmente non percepiamo nel nostro vissuto normale, ma che sono necessarie per capire la realtà. Un altro interessante progetto collettivo è stato An Triebe Im Wandel (Stimoli al cambiamento) che ho svolto un anno fa nel Museo Universitario di Heidelberg. Ho interrogato studenti provenienti da tutto il mondo sulla loro propensione/ paura al cambiamento e allo stimolo/competitività di un ambiente universitario che mira a far emergere solo i “migliori”. Il cambiamento parte proprio dalla consapevolezza di se stessi, e dal “ri-conoscersi”.
R.C. - So che l’installazione multimediale Blind Vision sará esposta alla sede dell’Istituto Colosimo.
Come si è concretizzata in questa opera d’arte l’interazione con questo gruppo di 20 persone?
A.d.L. - Blind Vision è il mio modo di trasferire alla gente la mia esperienza, perché ho voluto creare un viaggio che parte da un’immersione nel buio per lasciare spazio alla percezione con gli altri sensi. La prima tappa è un’installazione multimediale creata in una galleria al buio, dove ci si sente completamente immersi in una nuova dimensione, con l’ausilio delle opere light box, sincronizzate alle voci dei protagonisti, e ad effetti di sound design. Ho voluto poi creare un’opera tridimensionale tattile (Essenza), realizzata da un’iride che fosse in grado di trasferire l’assenza della vista ed una mostra che ho chiamato “A Journey of Light”, con le immagini di scena del processo creativo realizzate da Sergio Siano. Da qui, il viaggio, guidato dai ragazzi dell’Istituto Colosimo, arriva alla tappa del documentario, che svela nel dettaglio l’approccio usato con I protagonisti.
R.C. - Qual è nello specifico il concetto di Essenza?
A.d.L. - Essenza per me è un gioco di parole, che trascina dall’elevatezza di una percezione alla cruenta constatazione della mancanza: “è senza” L’iride che ho scelto infatti “è senza” la pupilla; e le mani sprofondano nel vuoto
R.C. - Come mi hai raccontato prima, il tuo processo creativo è costituito da una sorta di performance, in cui combini macro fotografia e strumenti della ricerca sociale, creando una ricca interazione con persone di diversa estrazione sociale e culturale. Hai sempre un obiettivo specifico e predefinito, al momento di iniziare ogni interazione?
A.d.L. - Nel mio archivio ho più di mille scatti, che riguardano la più ampia varietà di tipi umani: dai personaggi celebri come i membri della famiglia Kennedy, ai soggetti socialmente rifiutati come i ragazzi carcerati di Nisida; dagli attori di Hollywood come Antonio Banderas, Robert Davi e Jeremy Irons, ai disagiati per eccellenza, gli homeless; dalle star televisive italiane, come Alessandro Preziosi o Barbara d’Urso, agli individui diversamente abili. Qualunque persona è benvenuta, davanti al mio obbiettivo. Non ho una mira specifica se non quella di andare oltre l’apparenza, di raggiungere la parte più profonda della gente che incontro. C’è sempre una domanda iniziale che è uguale per tutti, e riguarda il senso della vita… Da qui si aprono le porte ai più vasti scenari della personalità, da qui inizio ad orientarmi sul prosieguo del mio viaggio introspettivo. La mia interazione è estremamente spontanea e non seguo mai uno schema di domande. Queste si orientano con naturalezza sulle questioni che l’altro desidera condividere.
R.C. - Che differenze o che analogie hai osservato tra i risultati di Nisida e i risultati di Blind Vision?
A.d.L. - Che dietro ogni persona c’è un mondo da scoprire, c’è sempre da imparare, e questo mi spinge ad andare ancora avanti.
R.C. - Attraverso la tua ricerca artistica, quali questioni di interesse per gli esseri umani sono emerse
come ricorrenti durante queste interazioni personali con diversi soggetti?
A.d.L. - È emersa la necessità di andare oltre quello che appare, oltre gli stereotipi, oltre l’espressione dei giudizi per arrivare all’”essenza”. Ritengo che le mie opere siano una sintesi della dicotomia tra apparenza e realtà tipica della natura umana. “Ognun vede quel che tu pari. Pochi sentono quel che tu sei,” diceva Machiavelli… Direi che “ognuno vede ciò che vuol vedere.”
R.C. – Mi dicevi che l’anno scorso hai sviluppato un progetto commissionato dal Salone Nautico Internazionale di Genova. Questo ha rappresentato una sorta di sguardo aperto verso il mare. Parlami di Sea Visions, 7 punti di vista e di come è legato alla tua ricerca sulla percezione.
A.d.L. - Ho sviluppato la mia ricerca per trovare una connessione tra lo sguardo e l’identità; ho voluto esplorare anche lo ‘sguardo del mare’, realizzando il progetto Sea Visions, 7 punti di vista, commissionato dal Salone Nautico Internazionale di Genova, con un testo critico del Prof. Luigi Caramiello. Al suo interno ho sviluppato un’installazione multimediale dal nome Sea Mirror, dove lo sguardo dell’uomo incontra quello del mare e delle sue creature. L’installazione include spettacolari iridi del mondo ittico, come la murena, il polpo, la pezzogna o il marvizio: è un’esperienza multisensoriale coadiuvata dalla composizione musicale Sea Sounds di Paky Di Maio. Grande fonte di ispirazione per me è stato Charles Baudelaire chi in L’uomo e il mare (1861) diceva, “Sempre il mare, uomo libero, amerai! / perché il mare è il tuo specchio; tu contempli / nell’infinito svolgersi dell’onda / l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito / non meno amaro”. Come risultato di questo progetto per Genova, ho creato anche le installazioni Floating e The Womb of the World, attraverso cui ho sviluppato il concetto dello sguardo sull’acqua e nell’acqua. Il meccanismo di rifrazione della luce non è solo un fattore di distorsione visiva; può essere anche una lente di ingrandimento. E sappiamo quanto possa essere importante il “blow up”, che talvolta ci rivela la distanza fra la realtà e l’apparire. Come diceva Joseph Conrad: “Il mare è un luogo metafisico: spazio isolato, astorico, di pienezza e di solitudine, in cui i conflitti spirituali raggiungono con facilità le posizioni estreme e radicali ed in cui gli uomini vengono a trovarsi, drammaticamente, alle prese con l’Assoluto”. E continuando con questa idea di cercare l’Assoluto all’interno di noi stessi, ho creato anche, come parte del progetto a Genova, Soul Scouting, una scenografica iride gigante e luminosa, posizionata in una dark room, con la voce narrante dell’attore Alessandro Preziosi che interpreta l’emozionante storia vera di tre generazioni di pescatori. Soul Scouting è legata al mio approfondimento sulla percezione del mare che nasce dall’aver sempre vissuto a contatto con esso, e dall’essermi occupata per venti anni dell’azienda nautica di famiglia. Il mare è vissuto dai pescatori sia come fonte di vita che come eterno antagonista, compagno di interminabili giornate di attesa e di silenzio. Nel caso di Stefano, il pescatore che ho incontrato e che ha ispirato la mia opera, sono stata rapita dalle sue storie vissute sul mare e da quelle tramandate da suo padre e suo nonno. Conrad scriveva, Tutto si può trovare in mare secondo lo spirito che guida la ricerca Il mare racconta tante storie, leggende, storie di vita, di pesca, di viaggi, basta guardarlo e ti viene l’ispirazione. Il mare è per me un immenso, antico, libro aperto che è possibile sfogliare per ricavarne storie a non finire. Dico sempre che nelle mie vene sento scorrere acqua di mare; e quello del mare sarà un tema che tornerò a sviluppare sempre attraverso le mie opere.
R.C. - Stai esplorando la possibilita’ di creare una serie che collega la ricerca sulla percezione umana che hai sviluppato con il progetto Occh-Io/Eye-I, con il disegno dei gioielli. Questo gesto enfatizza il fatto che il valore simbolico tradizionalmente attribuito ad un gioiello è il risultato della percezione che ha di esso la società. Puoi spiegarmi qual è il concetto che sorregge Shining Visions, il progetto che stai sviluppando sui diamanti?
A.d.L. - Il diamante è l’esito di una costruzione sociale: è l’occhio che “crea” il diamante, ed è sempre l’occhio che ne coglie la bellezza e l’incanto. Ma laddove lo sguardo umano è condannato alla finitudine, alla caducità, Il diamante è veramente “eterno”. La parola greca “adamas” vuol dire proprio invincibile, perché capace di vincere quella battaglia col tempo: una battaglia che l’occhio umano, che ogni individuo, è inevitabilmente destinato a perdere, per quanti sforzi ognuno possa fare “alla ricerca del tempo perduto”. Su una scala molto diversa, anche l’iride possiede qualcosa di questa caratteristica. Fra tutte le parti esposte del corpo umano è quella che rimane “giovane” più a lungo, conservando quei tratti, quei geometrismi, quella policromia, che è tutt’uno con la singolarità dell’individuo. Una delle caratteristiche che rende un diamante così speciale è il modo veramente unico di riflettere la luce: ed è a questa caratteristica che il diamante deve la sua brillantezza, il suo “fuoco” e il suo scintillio. La brillantezza di un diamante è, in sintesi, la sua capacità di catturare la luce bianca e restituirla all’occhio. In questo senso, la bellezza peculiare di un diamante, la sua incredibile giostra di luci è paragonabile all’unicità di ogni iride umana, scintillante anch’essa alla luce, con le sue incrinature e asperità, emergenze e depressioni, cromie e particolarità, vuoti e pieni. La vita stessa, in fondo, è questa sintesi mai perfettamente compiuta fra presenza e assenza, differenza e ripetizione, perennità e impermanenza, equilibrio e divenire, che si alimentano in modo incessante.
R.C. - Di recente hai completato la scultura Uno, Nessuno e Centomila, che nasce come risultato di alcune delle testimonianze che hai raccolto durante il tuo processo di lavoro. Come contribuisce quest’opera all’analisi che proponi sulla percezione umana?
A.d.L. - Si, a New York Scope Art Fair ho presentato la mia ultima opera d’arte cinetica sulla crisi d’identità: Uno, Nessuno e Centomila, ispirata al romanzo di Pirandello. La contraddizione tra apparenza e sostanza è al centro della “visione” pirandelliana. La critica delle illusioni va di pari passo con una drastica sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà: qualsiasi rappresentazione si rivela inadeguata all’inattingibile verità della vita, percepita come un flusso continuo, una processione di fantasmi, caotica e inarrestabile.
R.C. - Come definiresti l’obiettivo principale della tua pratica artistica?
A.d.L. – Come ho detto prima, l’essenza della mia ricerca artistica è focalizzata sulla percezione da diversi punti di vista. Mi interessa capire come gli esseri umani percepiscono il mondo, e come esso si manifesta ad essi. Il mio lavoro costituisce una sorta di strumento che dà alle persone la possibilità di condividere le loro esperienze e riflettere sui problemi che attualmente riguardano la vita quotidiana. Ognuna delle mie opere funziona come un veicolo per portare delle nuove tematiche alla luce.
R.C. - Quale argomento pensi di esplorare attraverso il tuo lavoro nel futuro prossimo?
A.d.L. - La fede è stata la fonte di ispirazione di tutto il mio lavoro: la mia ricerca artistica, nell’evidenziare l’unicità di ogni essere umano, non può che essere per me una celebrazione dell’opera creatrice di Dio. Il mio sogno nel cassetto è quello di realizzare un’opera sul concetto della fede e della vita come dono.

Ho dedicato la mia ricerca artistica a fotografare gli occhi della gente per riscoprire e valorizzare l’unicità di ogni essere umano. Quando ritraggo l’iride sviluppo una conversazione profonda con la persona che mi sta di fronte che trasferisce in me una traccia della sua vita e mi arricchisce l’anima. Blind Vision è un’importante tappa del mio percorso: questa volta ho scelto di calarmi nella dimensione dei non vedenti, per cercare di capire cosa si provi ad avere il buio davanti. Non potendo condividere lo sguardo con i non vedenti, ho optato per un contatto fisico e mano nella mano mi sono lasciata condurre da loro in un viaggio emozionante, che mi ha portato a comprendere il valore di percepire il mondo anche con sensi diversi dalla vista. Il mio impegno in questo progetto si coniuga al desiderio di stimolare un’integrazione culturale e sociale dei non vedenti e alla mia generale propensione verso una concezione ispirata ai valori della solidarietà. Temevo di fare un viaggio in un buio senza speranza, e invece è stato un viaggio di luce, in cui ho incontrato molte persone di grande vitalità, saggezza e umanità. Vivono vite come tutte le altre, e mi hanno insegnato che il buio non esiste: perché la luce, prima che fuori, è dentro di noi. Scegliere di fotografare gli occhi di chi non vede può essere considerato un gesto invadente; è invece una meravigliosa scoperta di mondi alternativi.


Essenza è una scultura, creata da Annalaura di Luggo per essere percepita dai non vedenti prendendo a modello uno degli occhi fotografati a cui manca interamente la pupilla. Definita da una carica poetica sconcertante, il gioco di parole tra “essenza” ed “è senza” fa sì che l’assenza si carichi di presenza, di significato, proclamando a gran voce che l’essenziale non è nella materia ma nello spirito, nei sentimenti, nell’energia che muove il cuore e i corpi di persone che non hanno bisogno di vedere per raggiungere i loro obiettivi.




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