Stephen Knudsen - annalauradiluggo

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Stephen Knudsen
Professore art &design college Savannah

Il buio non è il nulla. E l’oscurità negli occhi di tutti noi è una finestra nell’iride chiamata pupilla. Quel buco nero porta luce dal mondo, luce filtrata attraverso la cornea e l’umor acqueo della camera anteriore dell’occhio, manda luce lungo la sua strada nella giusta misura, allargandosi o restringendosi come il diaframma di una macchina fotografica. La luce che oltrepassa quel buco nero penetra la lente situata nel corpo vitreo della camera posteriore dell’occhio per poi invadere la parete di fondo di questa meravigliosa macchina, per solleticare la retina, i coni e i bastoncelli al suo interno. In tutta questa luce, la parete di fondo appare nera così come la vediamo attraverso la finestra dell’iride, così come la vediamo attraverso la pupilla. Coni e bastoncelli riconfigurano la luce in impulsi inviati al lobo occipitale del cervello, dove la visione è trasferita alle cellule cerebrali, sovvertendo l’oscurità. Se una parte qualsiasi di questo percorso viene interrotta, gradazioni di buio diventano una realtà onnipresente. Ma il buio non è il nulla, e questo è esattamente il punto del progetto Blind Vision di Annalaura di Luggo. Le interviste raccolte in Blind Vision sono raccontate in un documentario diretto dal regista Nanni Zedda con lo stesso titolo della mostra (il cui teaser è disponibile sul web), dove si vede Annalaura impegnata in una serie di faccia a faccia con dei non vedenti. La vicinanza di questi incontri è molto più marcata di quelli di Marina Abramović con i visitatori in The Artist is Present. Nel caso di Annalaura, i partecipanti sono infatti seduti in uno spazio intimo, a meno di trenta centimetri uno dall’altro. Come in The Artist is Present, a volte sopraggiungono momenti di commozione e talvolta anche un abbraccio, ma la magia nasce dall’ascoltarsi al buio piuttosto che dal guardarsi in silenzio. Ci sono momenti in cui Annalaura chiude gli occhi quasi per immedesimarsi con chi sta intervistando. Quando due persone siedono così vicino, gli odori e il respiro si mescolano per comunicare qualcosa a livello molecolare. Entrambi i partecipanti vestono di nero e la stanza è avvolta nell’oscurità più totale. Le uniche forme illuminate sono le due teste, che diventano come iridi pronte a ricevere la luce prima della retina, e galleggiano in una sorta d’oscurità infinita. Come due entità gemelle si avvicinano con dolcezza, non come corpi estranei, ma piuttosto come madre e figlio, come amici intimi, o come parenti lontani che si ritrovano per la prima volta. Il documentario ci porta poi con discrezione nelle storie di chi vive con diversi livelli di cecità. Nella seconda fase, grazie all’utilizzo di macro obiettivi, Annalaura ha immortalato le iridi dei non vedenti da lei intervistati. Quella che Leonardo definì “la finestra dell’anima” viene meravigliosamente trasformata in paesaggi colorati ed incredibilmente complessi, superfici tattili che sembrano adatte per un atterraggio lunare e che sfidano le nozioni vitree che spesso abbiamo nei confronti dell’iride. In mostra vediamo queste istantanee anatomiche, in cui le iridi sono ingrandite al punto da superare le dimensioni di un pallone da basket, montate su grandi light box di diverse dimensioni, da un metro a 50 cm di diametro. Situate in diversi punti di una stanza che ricorda una grotta molto buia, sono accessibili da una piccola rampa che conduce il pubblico all’interno della camera oscura. Al buio iniziale subentra la musica composta da suoni provenienti dall’Istituto Colosimo di Napoli, che sovrapponendosi al silenzio racconta dei suoni dell’ambiente e delle strade che circondano il non vedente al momento dell’intervista. Come da copione, i lightbox s’illuminano a turno, accendendosi e spegnendosi, e dando a ognuno degli intervistati un’occasione per parlare. Nasce quindi una storia attraverso una sequenza di frasi che prendono la forma di una conversazione in cui ciascuno dei 20 partecipanti di Blind Vision racconta la propria cecità, creando un mosaico di voci maestoso, misterioso e stimolante. L’abbinamento di immagini luminose e interviste è una pratica piuttosto consueta nel mondo della medicina. Vengono in mente le radiografie agganciate a scatole luminose durante le consultazioni medico-paziente. E come i migliori medici, Annalaura interroga i suoi soggetti immedesimandosi con i loro problemi al tempo stesso, prendendosene cura, con occasionali lacrime e abbracci. È evidente che il sorriso di Annalaura è autentico e profondo come il suo interesse. Anche se non abbiamo modo di vedere cosa accade durante l’intervista, le parole emanate dai light box raccontano di un interlocutore sincero e sensibile. L’opera fornisce una visione collettiva di un’esperienza personale. Annalaura ha fotografato persone provenienti da diverse classi sociali ed ambienti: celebrità, politici, detenuti, senzatetto, vittime di violenza domestica, artisti, professionisti, immigrati. Ogni progetto è il risultato di giorni, settimane e mesi di lavoro dediti allo sviluppo e allo studio delle storie raccontate dal gruppo di turno, con la finalità di proporre un metodo alternativo di osservare il mondo attraverso i canali della percezione utilizzati da persone non vedenti e ipovedenti. Lo scopo dell’artista è chiaramente anche quello di restituire dignità a persone che vengono spesso respinte in quanto “anomale”, e riaffermare il loro ruolo all’interno della società. Molti infatti ricoprono posizioni professionali di rilievo. Ci sono avvocati, traduttori, professori, commercialisti, scrittori, giornalisti, musicisti. Nella dolcezza del colloquio documentato da Annalaura, si apprendono i dettagli di una vita. La maggior parte dei protagonisti si muovono autonomamente. Molti hanno messo su famiglie. Blind Vision trasmette il messaggio che i non vedenti hanno un modo di vivere e percepire il mondo che non è anormale, ma semplicemente diverso. Come mi disse la curatrice Raisa Clavijo nel corso di una conversazione, ogni incontro genera una sorta di radiografia della vita di un individuo, illuminando diversi aspetti della società contemporanea come la politica, la religione, il tempo libero, le difficoltà e via dicendo, dando un punto di vista diverso su come si convive con la cecità Blind Vision implica anche che siamo qualcosa di più che complessi organismi biologici costruiti su miliardi di cellule e dirompenti azioni chimiche ed elettriche alla ricerca di omeostasi. L’omeostasi è una sfida per tutti – per alcuni più di altri, come per chi ha subito lesioni o le sviluppa dopo la nascita per via di un’imperfezione biologica nella cornea, il nervo ottico, la retina, o da qualche parte nel lobo occipitale. Eppure l’omeostasi può essere raggiunta da chiunque. BIind Vision asserisce proprio questo, che l’essere umano è qualcosa di più che una semplice macchina biologica. E lo fa parlando all’anima, che come l’occhio cerca l’omeostasi in un mondo (o un universo) sublime, pieno di oscurità e buchi neri che schiacciano non solo la materia, ma anche l’immaginazione umana, e che riesce ad estendersi solo fino ad un certo punto per spiegare come e perché siamo qui con i nostri meravigliosi occhi come finestre sull’anima. Come disse Immanuel Kant, in un certo senso siamo tutti ciechi. Siamo ciechi nei confronti di una vera comprensione dell’infinito, come l’universo, che lui chiamava il sublime matematico. E siamo ciechi di fronte al potere che lo mise in moto e lo mantiene in movimento, il sublime dinamico1. Come potrebbe una di queste cose esistere o non esistere? Cos’è il nulla? Se avessimo rilevatori sensoriali e apparati biologici al di là di quelli che abbiamo, la nostra immaginazione non si arresterebbe davanti a muri teorici impenetrabili. La scienza può sicuramente estendere i nostri sensi, ma non può darcene altri. Siamo tutti al buio se messi accanto a rilevatori sensoriali che in quanto esseri umani non abbiamo mai avuto, ma il buio non è il nulla. L’oscurità è il regno dello sguardo sublime. Non potrebbe esistere senza, e questo non è poco. E questo ci riporta alle finestre dell’anima, quelle finestre che si affacciano su un altro sublime, quello di noi stessi. Non possiamo comprendere realmente come essere o non essere noi stessi. I ritratti dell’occhio di Annalaura affiorano come grandi e luminosi corpi celesti lontani, incarnando questo principio filosofico. L’oscurità non è il nulla, è la matrice nell’universo e nella nostra mente da cui creiamo percorsi capillari d’esistenza e di comprensione, con o senza l’ausilio di sensi che non possiamo nemmeno immaginare. Il buio, ne sono certo, non è il nulla.



© Annydi 2020
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